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Bøker i Classici della Letteratura Italiana-serien

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  • av Lorenzo De'
    329,-

    Se voi averete pazienza, sarete spettatori di una nuova commedia intitolata Aridosia, da Aridosio detta (Aridosio chiamato per essere più arido che la pomice) della quale vi conforto a non curarvi di saper l¿autore, perch¿egli è un certo omiciatto, che non è nessun di voi che veggendolo non l¿avesse a noia, pensando che egli abbia fatto una commedia. Dicono ch¿egli è di spirito; io per me nol credo, e quando ei seppe, che io veniva a farvi l¿argomento, m¿impose che io vi facessi una imbasciata a tutti, che se voi loderete questa sua commedia sarete causa che ce ne abbia a fare dell¿altre; onde vi prega che voi la biasimate, acciò li togliate questa fatica. Vedete che cervello è questo: gl...

  • av Angelo de Gubernatis
    329,-

    Se bene a molti rechi oramai gran tedio che si parli ancora nel mondo del Manzoni, e tra i molti i più siano persuasi che sopra un tale argomento, da essi chiamato giustamente eterno, non ci sia più nulla di nuovo da dire, dovendo io tener discorso intorno ad un nostro moderno scrittore, innanzi ad un'eletta d'Inglesi, presso i quali da Giuseppe Baretti ad Ugo Foscolo, da Ugo Foscolo a Gabriele Rossetti, da Gabriele Rossetti a Giuseppe Mazzini, per tacere degli onorati viventi che hanno insegnato od insegnano tuttora la letteratura italiana in Inghilterra, le nostre lettere da un secolo in qua furono sempre coltivate con amore, io non ho saputo trovare alcun tèma non solo più nobile, ma p...

  • av Serao Matilde
    329,-

    Lunga distesa, immobile sotto la bianca coltre del letto, con le braccia prosciolte e le mani aperte, con la bruna testa inclinata sopra una spalla, con un soffio impercettibile di respiro, Anna pareva dormisse da due ore, immersa nel profondo abbandono del sonno giovanile. Sua sorella Laura, che dormiva in un secondo candido lettino da fanciulla, all'altro capo della vasta stanza, aveva quella sera molto prolungata la sua solita lettura notturna, con cui sfuggiva alla conversazione ultima della giornata, fra sorelle. Ma appena l'ombra della lunga e fredda notte d'inverno aveva avvolto le cose e le persone nella camera delle due fanciulle, Anna aveva schiuso gli occhi e li teneva fissi, s...

  • av Oriani Alfredo
    356,-

    Siamo a Bologna, una delle città più ricche e noiose d'Italia. In un mattino del maggio 1875 un giovane traversava la piazza d'armi, vasto quadrato chiuso da case borghesi, verso la Montagnola, che ergendosi sovra esso in largo spianato coperto di grandi alberi, è tutto il passeggio pubblico della città. Camminava affrettatamente e il suo passo non era di uomo libero in terra libera, andatura trovata da Guerrazzi e compresa da nessuno, ma di persona preoccupata; e l'aspetto signorile malgrado gli abiti negletti. Portava il cappello e la testa addietro mostrando una fronte corrugata con un volto pallido di una tale pallidezza biliosa...

  • av (Aischùlos) Eschilo
    329,-

    SCOLTA Numi, il riscatto concedete a me dei miei travagli, della guardia lunga un anno già, ch¿io vigilo sui tetti degli Atridi, prostrato su le gomita a mö d¿un cane. E de le stelle veggo il notturno concilio, ed i signori riscintillanti che nell¿ètra fulgono, ed il verno e la state all¿uomo recano.

  • av Foscolo Ugo
    329,-

    Terrore è in campo, o re de¿ re. La turba Che all¿Ellesponto accompagnò gli avanzi D¿Achille, ove gli alzò tomba e trofeo Il Telamonio Ajace, al campo riede E fa insanir di nuovo lutto i Greci. Finge orrendi prodigi; e vien narrando Che di querele l¿Ocean fremea Per la pietà della divina prole Di Teti; che un sanguigno astro per l¿aere Notturno errava, e illuminando i mari Ver occidente si perdea, la Grecia Quasi accennando ed il ritorno. Invano Or la pugna a bandir corron gli araldi Come jer m¿imponesti...

  • av Bandello Matteo
    329,-

    Di tanti eccelsi e glorïosi eroi, e delle belle e sí sagge eroine, onor e pompa del Gallico regno, qual, mia Musa, cantar ora t'inchine, o qual pria dirai, o qual dapoi, a tal che ti riesca il tuo disegno? O questi, o quelle che tu canti, degno canto sará, perché di nostr'etate in lor è 'l pregio ed il perfetto onore, ché 'n quelli albergan con ben saldo core quante 'l sol vede doti piú lodate.

  • av Vigoni Pippo
    329,-

    Fu nel settembre del 1878 che per la prima volta vidi farsi concreta la speranza di un viaggio in quell'interessante e misterioso paese che per doppia ragione fu detto Continente Nero. Era un coraggioso industriale nostro, il comm. Carlo Erba, che aveva ideato di armare una spedizione, che, tenendo la linea di Kartum, Galabat, Gondar, Goggiam e possibilmente lo Scioa, scendesse poi al Mar Rosso, esplorando commercialmente quelle contrade: io l'avrei seguita colla pura veste del dilettante. La cosa doveva farsi se non misteriosamente, almeno tranquillamente, sperando riportare grate sorprese, e non disillusioni per coloro che troppo facilmente si lasciano trasportare dagli entusiasmi che ...

  • av Bertacchi Giovanni
    329,-

    Fummo per poco in un grand'orto in fiore; poi ciascuno tornò l'anima sola riaffacciata alla sua landa brulla. Fummo... Oh certo imparò tutto il dolore chi ne' suoi giorni udì questa parola, questo tonfo dell'anima nel nulla.

  • av Luigi Arnaldo Vassallo
    329,-

    Il marchese Alfonso Orlandi, uomo di tatto se non di spirito, subito si era accorto che ci faceva la parte del terzo incomodo: per ciò, passati neppure dieci minuti in ciarle inconcludenti, si alzò dalla poltrona, e con l'inchino misurato del gentiluomo corretto, porse la mano guantata alla bella padrona di casa.

  • av Salvatore Farina
    329,-

    ¿Infine ho la coscienza di non essere perversa, e se scendo in fondo al cuore, trovo che sarei capace di far la moglie come le più brave. Ma che colpa ne ho io se quest'uomo non mi sa prendere, se non se ne dà nemmeno pensiero, se non mi ama? Non mi ama, e non solo non mi ama, ma non mi ha amato mai! Quasi quasi me lo diceva in faccia, perchè è schietto ed abborre le simulazioni, il signor marito. Gli ho risposto, come andava fatto, che a me non ne importa un bel nulla e che alla fin dei conti siamo pari, perchè neppure io l'amo nè l'ho amato mai¿ Ed ora finalmente tutto sta per finire fra di noi, il mondo è largo, e dei Leonardi e delle Erneste ce ne possono vivere molte paia senza che ...

  • av Pietro Metastasio
    329,-

    Il crudelissimo Astiage, ultimo re de¿ Medi, in occasione del parto della sua figliuola Mandane, dimandò spiegazione agl¿indovini sopra alcun suo sogno, e gli fu da loro predetto che il nato nipote dovea privarlo del regno: ond¿egli, per prevenir questo rischio, ordinò ad Arpago che uccidesse il picciolo Ciro (ché tal era il nome del nato infante), e divise Mandane dal consorte Cambise, rilegando questo in Persia e ritenendo l¿altra appresso di sé, affinché non nascesser da loro, insieme con altri figli, nuove cagioni ä suoi timori. Arpago, non avendo coraggio di eseguir di propria mano così barbaro comando, recò nascostamente il bambino a Mitridate, pastore degli armenti reali, perché l...

  • av Nello Roselli
    329,-

    La personalità di Pisacane nella nostra storia politica è di quelle che disorientano per la loro molteplicità. C'è da un verso il soldato colto e studioso che considera il risorgimento d'Italia quale un problema spiccatamente militare; c'è dall'altro lo scrittore che ne sottolinea le premesse e le inderogabili finalità di rivoluzione integrale. C'è il mazziniano puro di Sapri; il socialista e il nazionalista; l'aristocratico e il transfuga della sua classe sociale; l'uomo romantico e l'ammirator di Cattaneo.

  • av Luigi Capuana
    329,-

    C'era una volta una fornaia, che aveva una figliuola nera come un tizzone e brutta più del peccato mortale. Campavan la vita infornando il pane della gente, e Tizzoncino, come la chiamavano, era attorno da mattina a sera: - Ehi, scaldate l'acqua! Ehi, impastate! - Poi, coll'asse sotto il braccio e la ciambellina sul capo, andava di qua e di là a prender le pagnotte e le stiacciate da infornare; poi, colla cesta sulle spalle, di nuovo di qua e di là per consegnar le pagnotte e le stiacciate bell'e cotte. Insomma non riposava un momento.

  • av Emilio Salgari
    329,-

    ¿ Sette!... ¿ Cinque! ¿ Undici! ¿ Quattro! ¿ Zara!... ¿ Corpo di trentamila scimitarre turche! Che fortuna avete voi, signor Perpignano! Sono ottanta zecchini che mi guadagnate in due sere. Ciò non può durare! Preferisco una palla di colubrina in corpo e per di più una palla di quei cani di miscredenti. Almeno non mi scorticherebbero dopo presa Famagosta. ¿ Se la prenderanno, capitano Laczinki. ¿ Ne dubitate, signor Perpignano? ¿ Sì, almeno per ora. Finchè abbiamo gli schiavoni, Famagosta non verrà presa. La Repubblica Veneta sa scegliere i suoi soldati. ¿ Non sono polacchi. ¿ Capitano, non offendete i soldati dalmati. ¿ Non ne ho avuto alcuna intenzione, tuttavia se qui vi fos...

  • av Luigi Capuana
    329,-

    Sono passati tanti anni, ma ancora ricordo lucidamente i più minuti particolari di questo episodio della mia vita. I cavalli scalpitavano impazienti nella strada, un po' distante dalla porticina dell'orto dove io stavo a origliare. Sentivo, di quando in quando, il rumore delle catenelle e di tutti gli arnesi a ogni scossone che i poveri animali accompagnavano con una specie di sternuto. Mi pareva impossibile che non nitrissero, e col pensiero li ringraziavo della intelligente riserbatezza mostrata in quel punto.

  • av Nino Martoglio
    383,-

    La luna è china: vui, di lu barcuni, bedda, di longu a longu, la guardati: lu sacciu, 'ntra la luna vui circati l'amanti ca si dunanu vasuni! Passanu l'uri e non vi nn'addunati ch'è notti e chi astutaru li lampiuni, non v'addunati ca misu a 'sta gnuni vi guardu 'ntra l'ucchiuzzi 'nnamurati. Chi siti bedda!... Non vi nni trasiti!...

  • av Giuseppe Giacosa
    329,-

    Come le foglie

  • av Pietro Aretino
    329,-

    Io vorrei dir la donna ch'ebbe il vanto di leggiadra et angelica bellezza, la qual l'amato ben sospirò tanto che depose la gioia e l'alterezza, et imparato a pianger con quel pianto che ad altri insegnò già la sua durezza: Medor pur chiama in suon languido e fioco, che non l'ascolta e 'l suo mal prende a gioco.

  • av Giosuè Carducci
    329,-

    Lodiamo di buon animo i buoni pensieri ne' due scritti del dott. C., intitolati I beni della letteratura e I mali della lingua latina, intorno agli offici delle lettere e dei letterati, intorno alle pessime condizioni dell'educazione letteraria qual fu e qual è in parte ancora fra noi e alla necessità di una educazione piú veramente civile. Ma noi amiamo e desideriamo il vero in tutto e per tutto: noi, abborrendo dalle comode declamazioni, crediamo non si possa comprendere in un odio e uno spregio sistematico tutto intero un secolo, tutta intera una letteratura, senza dissimulare molti fatti, senza sforzare molte illazioni, senza falsare molti giudizi; e, quando procedesi con buona fede ...

  • av Ghislanzoni Antonio
    329,-

    Nell'aprile dell'anno 1860, un eccentrico personaggio venne ad abitare l'alpestre paesello di C¿.

  • av Aleardo Aleardi
    528,-

    Pria che sulle infelici artiche terre Scenda la notte al morïente autunno Col suo buio di mille ore; sul lembo Dell¿orizzonte, pari ad un fuggiasco, Va circolando il sol per lunghi giorni D¿imminente tramonto: e poi ch¿è spenta L¿ultima larva de la faccia d¿oro, Un incessante vespero scolora L¿onda e le terre, e l¿aquilon ricopre...

  • av Giulio Carcano
    329,-

    Che sarebbe mai la vita, se l'uomo non portasse con sè quella consolazione che da nessuna filosofia gli può esser data, ma ch'è più vera d'ogni filosofia, la speranza del bene? E dove andrebbe il figliuolo del povero a cercar la ragione della onestà e del coraggio, la sua allegrezza e la sua pace, la forza della fatica, l'affetto de' suoi, se non avesse la speranza, quella virtù bella come la fede, forte come l'amore?¿ Ah sì, tutti dal primo all'ultimo, dobbiam respirare e soffrire per qualche cosa di più grande, dì più vero, che non sia la giustizia di questo mondo

  • av Luigi Alamanni
    383,-

    Or mentre questi e quelli in tale stato han l¿uno stuolo e l¿altro ricondotto, già il re Rion securo era arrivato col miser Galealto a Lancilotto; a cui nessun narrar l¿acerbo fato non s¿avea per timor l¿animo indotto; però, qual nuovo inaspettato danno, più doglioso gli apporta e crudo affanno. Il qual sempre restato era, dapoi che ¿l suo diletto amico era partito....

  • av Paolo Emiliani Giudici
    383,-

    ¿ O che miracolo è egli questo? ¿ disse Beppe Arpia alzandosi dal seggiolone posto innanzi ad un banco ingombro di fogli, e correndo incontro ad un uomo, che, aperto l'uscio, s'era fermo in sulla soglia. ¿ Quanto tempo è che non ci siamo visti! Gli è un secolo. ¿ Buon giorno, Giuseppe ¿ disse l'altro stendendogli la mano e rimanendo pur sempre ritto sulla soglia dell'uscio. Sembrava piú ombra che uomo. Alto di persona, scarne le membra, strette le spalle, adunco il naso ed acuto, larga la bocca, grossi gli occhi prominenti e con le palpebre inferiori rovesciate in guisa che li contornavano d'una striscia sanguigna; livida la pelle, incavate le guance, rasi e neri i capelli, rasa la barb...

  • av Daniel Defoe
    356,-

    L¿usato proverbio detto in tante occasioni nell¿Inghilterra: Mal nell¿osso, incurabile, non si è mai verificato meglio che nella storia della mia vita. Ognuno si avrebbe immaginato che dopo trentacinque anni d¿angosce, dopo una serie di variate calamità, per cui ben pochi uomini, se pur ve ne furon mai, sono passati; dopo sett¿anni trascorsi nell¿abbondanza di tutte le cose, venuto già vecchio e avendo sperimentate, bisogna certo convenirne, tutte le possibili condizioni della vita di un privato, dopo tutto ciò ognuno si avrebbe immaginato che la mania de¿ viaggi manifestatasi in me, come raccontai, con tanta violenza sin dal primo istante che entrai nel mondo, fosse omai domata; che la p...

  • av Daniel Defoe
    410,-

    Nacqui l¿anno 1632 nella città di York d¿una buona famiglia, benchè non del paese, perchè mio padre, nativo di Brema, da prima venne a mettere stanza ad Hull; poi venuto in buono stato col traffico e lasciato il commercio, fermò sua dimora in York; nella qual città sposò la donna che fu poi mia madre. Appartiene questa alla famiglia Robinson, ottimo casato del paese; onde io fui chiamato da poi Robinson Kreutznaer: ma per l¿usanza che si ha nell¿Inghilterra di svisar le parole, siamo or chiamati, anzi ci chiamiamo noi stessi e ci sottoscriviamo Crusoe, e i miei compagni mi chiamarono sempre così....

  • av Luigi Alamanni
    329,-

    Come i suoi biondi crin la bianca aurora sovra il Gange spiegando annunzia il giorno, il pio rettor dell¿Orcadi vien fuora dell¿albergo vicin con l¿arme intorno e cinto di pensieri ove dimora del re Britanno il padiglione adorno. Entrò soletto, e già il ritruova in piede; ch¿al bisogno comune ivi provvede.

  • av Luigi Alamanni
    329,-

    Dell¿oscura stagion la bianca aurora con le rosate man squarciava il velo, quando il gran re Britanno uscito fuora fa di trombe al romor tremare il cielo: ond¿ogni cavaliero all¿istess¿ora, ogni ardito guerrier con chiaro zelo truova l¿arme e ¿l destriero, ogni buon duce all¿ordine primiero i suoi conduce;

  • av Marchese di Villabianca
    329,-

    Francesco Emanuele, terzo di questo nome, marchese di Villabianca. Egli è il marchese di Villabianca, oggi per divina munificenza vivente, nato in Palermo, sua patria, figlio del marchese D. Benedetto, secondo di questo nome, e di Cassandra Gaetani ed Alliata, sua genitrice. Uscì al giorno nel lunedì 12 di marzo 1720, rigenerato colle sagre acque lustrali nella parrocchiale chiesa di S. Giacomo la marina, tenuto in essa da Francesco Notarbartolo e da D. Angela Zati, iugali, barone e baronessa di S. Anna, come per fede battesimale registrata nel vol. 2° Nobiltà Emanuele, fogli 211 e 376.

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